…anche stamattina nebbia, lo sento ,da sotto le coperte ,al buio.E’ lo stesso orario,la stessa gente che cammina sul marciapiede,il bus delle 6,45 e fra poco …anzi ecco il furgoncino che vuota i cestini dei rifiuti.Ormai in questi anni che vivo qui ho acquisito come un sesto senso che mi avverte del nuovo giorno,saranno i rumori che sento attutiti dal grigiore che avvolge tutto.sara’questo silenzio che percepisco come freddo nelle mie ossa,o forse sara’ la mia solitudine ,che adesso per non essere tale, deve percepire la luce ,il sole.Alzo quel poco che basta la tapparella per capire che avevo ragione.Si ricomincia ;una riscaldata al caffè d’orzo di ieri sera,un minimo di trucco per non sembrare una zombie,il cappotto ,la sciarpa,la berretta di lana,la cartella dei disegni,infine i crackers in tasca che nel tragitto saranno la mia colazione verso l’ospedale.Uscita il freddo lo percepisco sempre come l’effetto di una scossa,magari positiva per riprendermi, oggi me ne sarebbe voluta una dose superiore…ancora qualche minuto prima dell’arrivo del mezzo,una sigaretta mi serve in questo angolo della pensilina.Dal mio appartamento nella periferia di Mestre per arrivare all’ospedale ci vogliono una ventina di minuti,sufficenti per la mia chiamiamola colazione,sufficenti per non riconoscere nessuno ..eppure siamo sempre quelli,sempre silenziosi,sempre assonnati,sempre soli.Ecco arrivata ,questa cupa entrata secondaria è l’esatta visione del luogo di dove dovro’ svolgere la mia giornata.Non vorrei togliermi niente oggi,restare col cappotto pure,ma mi sarebbe d’impedimento per i disegni,infilo la vestaglia ed entro in sala.Ho studiato disegno anni e anni ed eccomi qui in una sala del reparto di anatomia patologica a trasferire su carta parti umane che studenti vedranno sui loro libri.Quando ero all’universita’ vedevo un altro futuro,grandi quadri ,intensi colori..era un ‘altra cosa Venezia,sorridevo e vedevo sorrisi,il giorno poteva non finire o incominciare, mi sembrava che tutti credessero e sognassero come me.Adesso pur di restare attaccata a questa citta’ sono in una bianca stanza ,seduta davanti a un tavolo d’acciaio e devo mettermi una molletta al naso per il forte odore di formalina … fra poco avro’ davanti un pezzo di carne umana che dovro’disegnare,da sola,ora piu’ che mai da quando lui se ne è andato, sempre piu’ piccola ,quasi che le pareti di questa camera fossero diventate altissime e illuminate da queste fredde luci al neon.Eccolo il medico,accendo i faretti mentre lui appoggia sul bancone quel che resta di una vita…..è una mano.